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UN ALTRO GIORNO
29.11.2013 14:34
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UN ALTRO GIORNO |
FraB |
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Ai miei amici, che con il loro supporto hanno reso possibile questa mia follia.
Francesca
Prefazione: CAOS.
Era una notte come tante nel mio quartiere, quando il rumore continuo di una sirena ruppe il silenzio che stava cullando i sogni beati della gente. Nessuno sembrava accorgersi del caos che stava imperversando per la strada. Qualcuno si affacciò alla finestra, ma la maggior parte si lasciava crogiolare tra le braccia di Morfeo, incuranti degli avvenimenti che li circondavano.
Strofinai gli occhi, ero come in uno stato di trance, purtroppo però il disordine che stavo vedendo e sentendo era reale.
Un greve odore, un misto tra plastica e benzina percorreva la strada fino alla mia camera, d’istinto ero già con la mano sulla bocca a proteggermi da quel fetore.
D’un tratto mi ritrovai a guardare verso la direzione dei giardinetti e vidi del fuoco, ma nessuno sembrava essersene accorto, ero agitata, scendere giù sembrava pericoloso così mi trasformai in spettatrice inerme, mi sentivo paralizzata, non riuscivo a non fissare quel piccolo fuoco che pian piano avanzava tra le panchine e i giochi per bambini. Tutto era talmente lontano, irreale.
Decisi di ricoricarmi nel letto e cercare di dormire un po’, ma il cellulare incominciò a squillare.
Una mia amica era rimasta imbottigliata nel traffico a causa di questi scontri, mi chiese se potevo andarla a prendere con il motorino, intanto lei cercava di parcheggiare la sua auto da qualche parte.
Pensai di inventarle una scusa, ma poi mi dissi che se fossi stata nella sua situazione, lei mi avrebbe aiutato sicuramente; quindi senza pensarci un minuto di più mi vestii afferrai il mio casco e un secondo per lei, perché non si sa mai, e di corsa presi il motorino per raggiungerla il più presto possibile.
Sfrecciai tra i vicoli paralleli per non incappare nel traffico, sentivo le sirene, c'era un po’ di nebbia, la puzza di plastica bruciata mi era entrata nelle narici ma stranamente non mi faceva starnutire, era insopportabile, presi la sciarpa e la avvolsi più che potevo sulla bocca.
Finalmente riuscii ad arrivare da Lina che era lì immobile, si vedeva che era molto spaventata.
Corremmo verso casa, la accompagnai e andai via.
1-TUTTO TROPPO VELOCE.
Il giorno dopo, tutto sembrava essere tornato alla normalità. Nessuno ne parlava o sembrava preoccuparsene.
Cercai di chiamare Lina per sapere se voleva un passaggio per riprendere la macchina; rispose la mamma e per mio sconcerto mi disse che la scorsa sera non era ritornata a casa. Le spiegai d’essere certa d’averla vista salire le scale e che non avevo idea di cosa poteva esserle successo.
Preoccupata, chiamai le mie “compagne di viaggio” per avvisarle e chiedergli se l’avevano sentita. Fin dal liceo, c’eravamo scelte, e come tra sorelle ognuna sapeva esattamente gli spostamenti dell’altra perché ci tenevamo sempre informate, ma, stranamente questa volta, tutte quante come un disco rotto mi ripeterono la medesima cosa, che non la vedevano dall’ultima serata insieme.
Non sapevo cosa fare, mi sentivo terribilmente in colpa per non essermi assicurata che aprisse la porta di casa.
I genitori disperati mi continuavano a chiamare per avere notizie e mi avvisarono che la polizia non gli aveva ancora fatto sapere nulla.
Mi precipitai fuori di casa e andai nel punto esatto in cui Lina aveva lasciato la macchina, ma non c’era più; nel frattempo ricevetti un messaggio, era di ieri sera, di un’ora dopo che l'avevo accompagnata, mi ringraziava e mi assicurava che ci saremmo sentite il mattino seguente.
Mi sembrava di vivere in un incubo, in fondo speravo in uno dei suoi scherzi scemi, ma sapevo per certo che non avrebbe mai coinvolto i suoi genitori.
La testa mi scoppiava e non riuscivo a smettere di piangere.
Un altro messaggio, ma questa volta un’unica e inequivocabile parola “aiuto”.
Provai a chiamarla, il cellulare sembrava disattivato, avvisai i suoi genitori, ma mi spiegarono che lo sapevano già e che ne aveva inviato anche un altro però senza testo.
Riprovai ancora a chiamarla. L'ennesimo bip, ormai odiavo quel suono, perché nonostante sperassi con tutta me stessa in messaggi positivi, continuavano ad arrivare solo brutte notizie.
Una serie di numeri e lettere, sembrava come ne: “Il Codice Da Vinci”, solo che questo non era un film.
Nel frattempo le altre continuavano a chiamarmi per avere novità; anche a loro il suo cellulare sembrava disattivato, mentre i genitori di Lina mi ripetevano che era di fronte a loro acceso. Sembrava come se ci fossero due cellulari di cui uno attivo e uno no.
Il mio cervello, quando c’erano situazioni dolorose e stressanti andava in tilt, anche questa volta non connetteva più e mentre mi arrovellavo di domande cui non sapevo dare risposta un solo pensiero sempre più insistente e terrificante mi attanagliava: “Lina era morta” e i miei occhi a un tratto s’inondarono di lacrime.
Il telefono continuava a squillare, era Giulia, lei che nei momenti di stress aveva bisogno di averci vicine, ma che con il suo carattere introverso e razionale non l’avrebbe mai ammesso; appunto mi chiamava per dirmi se volevamo riunirci per venire a capo della situazione.
Così decidemmo di vederci a casa di Sara. Eravamo tutte insieme: Giulia, Io, Pamela e Sara; sembrava una delle nostre solite riunioni casalinghe per parlare di noi e degli eventi che c’erano capitati nel breve tempo che non eravamo state insieme, ma stavolta, però la cosa era più seria; Lina era sparita e ognuna pensava a un dettaglio che potesse essere utile a ritrovarla.
La prima domanda che ci ponemmo e cui non avevamo trovato risposta era: “Con chi era Lina prima di chiamarmi?”. Ci venne in mente che forse aveva un appuntamento con quel tale conosciuto in discoteca, non ne eravamo certe perché avremmo dovuto avere sottomano il suo cellulare e controllare le ultime chiamate e i suoi messaggi, ma sapevamo il brutto vizio che Lina aveva di cancellare ogni messaggio in entrata e in uscita e di resettare il suo cellulare dalle chiamate per paura di essere spiata dai genitori che erano molto apprensivi con lei, quindi comunque sarebbe stato inutile. Avevamo avuto una brutta impressione di quel tizio, ma lei n’era rimasta affascinata; in effetti, era molto alto, il fisico tonico, con i capelli neri corti e gli occhi verde smeraldo, quindi il classico “bello e dannato”; molto in contrasto con il fisico di Lina minuto e asciutto e i suoi occhi profondi e neri.
Come il solito gli aveva lasciato il numero; si sa che quando andavamo tutte a ballare si beveva un po’ di più e quel senso di leggera euforia ti lasciava il coraggio di agire come non riusciresti mai a fare da sobria, anche se spesso, però era un falso alibi che tutte noi ingenuamente ci davamo.
Intanto le ore passarono, tra chi nervosamente si mangiucchiava le pellicine, disegnava ghirigori sui tovaglioli e chi s’intrecciava i capelli; e tra discussioni e supposizioni si era fatta sera e purtroppo il giorno dopo si lavorava quindi dopo esserci abbracciate, ognuna ritornò a casa con la promessa che se avessimo avuto notizie ci saremmo sentite immediatamente.
2-STRANE COINCIDENZE
I giorni passavano inesorabili, con il pensiero della nostra amica sempre presente e le speranze di trovarla viva sempre più vane nel tempo. Mi tornavano sempre in mente la sua richiesta d’aiuto e lo strano gioco di linee che si era creato sul suo cellulare e non riuscivo a darmi una spiegazione logica; allora pensai ad Andrea, l’unica persona che in fatto di tecnologia informatica era un prodigio e che poteva far chiarezza sulla situazione.
Lo chiamai e gli spiegai un po’ quello che stava accadendo; dopo un principio di sconcerto con un senso d’impotenza che ci attanagliava un po’ tutti, Andrea mi spiegò che era probabile che tramite la banca dati della compagnia telefonica avessero creato una copia identica in tutto della sua carta sim e che l’interferenza era dovuta proprio al fatto che essendocene due identiche, una cercava di disattivare l’altra.
“Chi poteva aver avuto accesso alla banca dati?” “Il suo rapimento, se si trattava di tale, allora era stato premeditato e organizzato da qualche tempo nei minimi dettagli?” “Chi poteva avercela avuta tanto con lei da farle questo?”
Un susseguirsi di domande alle quali per ora Andrea non aveva risposto, però tramite un programma illegale mi aveva promesso che entro poche ore mi avrebbe fatto sapere chi stava lavorando ai suoi dati; finalmente una buona notizia dopo che il destino aveva deciso di giocare con noi, facendo sparire un elemento importante.
Andrea era stato il fidanzato di Lina al tempo del liceo, capelli biondi a spazzola e occhi neri, lei ne andava matta, a un certo punto, però si era stufata del suo carattere possessivo e lo aveva mollato, ma lui non si era mai arreso del tutto e ancora a oggi le andava dietro; un motivo in più per darsi da fare nel capire l’artefice di tutto ciò. Prima di riagganciare il telefono gli chiesi di richiamarmi anche per le minime novità così da poter tenere informati la famiglia e le altre. Avvisai i genitori della mia iniziativa, ma senza caricarli di troppe speranze; mi ringraziarono ed io gli promisi che li avrei chiamati al più presto.
Andrea però non ebbe i risultati sperati e le mie attese si sgretolarono inesorabilmente; ma con il suo solito fare, da quello che ogni problema aveva per forza una soluzione, mi promise di mettersi in contatto con un suo amico per avere un nuovo aiuto, questa volta però cercai di non alimentare le mie speranze.
Durante la snervante attesa continuavo a sentirmi con le altre.
Sara, l’intellettuale del gruppo, lei che per fare anche semplici esempi citava sempre autori famosi e film, la sua frase più gettonata era quella del film “Il Corvo” con Brandon Lee, ossia: <
Giulia, così inflessibile nei suoi giudizi da essere considerata a volte molto antipatica per chi non la conosceva bene; nel frattempo non faceva che ripetermi che era un poco di buono su cui si poteva fare poco affidamento e che avrebbe solo incasinato le cose.
Una dopo l’altra mi ripeterono circa le stesse cose scoraggiando l’unica fievole speranza che avevo riposto in lui. Purtroppo dovevo ammettere che in altre situazioni Andrea era stato sempre poco affidabile, ma stavolta ero sicura che non ci avrebbe deluso.
Finalmente una telefonata arrivò nel momento giusto, Andrea era riuscito a sbloccare un po’ la situazione e mi chiese di riunire anche le altre per spiegarci meglio il tutto; la sera eravamo tutti a casa mia a discutere dell’avvenimento.
Andrea ci spiegò che ogni operatore possiede un numero di matricola e lavora sempre con lo stesso computer. Da qui, avendo trovato il codice dell’operatore che aveva lavorato sul numero telefonico di Lina, grazie al suo amico era riuscito ad abbattere il sistema di sicurezza che proteggeva la riservatezza dei dipendenti e a rintracciare il nome dell’operatore, un certo Salvatore Santini.
Adesso l’unica cosa da fare era avvisare la polizia, “ma come avremmo spiegato il modo in cui eravamo arrivati a questa soluzione?” L’unica cosa da fare era una soffiata anonima.
“Ci stavamo cacciando tutti in un enorme guaio o l’avremmo passata liscia?”
Alla fine decidemmo di rivederci il giorno seguente per ragionare più a mente fredda e cercare una spiegazione a questa folle vicenda.
La notte come prevedevo non riuscii a dormire, erano troppe le cose che mi passavano per la testa e avevo il terrore che saremmo finiti tutti in galera.
L’unico rimedio era farmi una tisana rilassante, verbena e melissa, era stata proprio Lina a consigliarmela durante il mio breve periodo di università, quando la sera prima di un esame non riuscivo a dormire. . .
La mia mente incominciò a vagare, così mi ritrovai a pensarla mentre rideva delle mie fobie preesame e le altre con lei, nelle nostre serate da nonne come le chiamavamo, davanti ad una tazza a raccontarci di noi.
L’angoscia si rimpossessò di me e quella notte fu una delle tante insonni e piene d’incubi e neanche la tisana riuscì a fare nulla, solo riaffiorare ricordi che un tempo erano felici e ora sono velati di tristezza per la sua scomparsa.
Il giorno dopo, ci vedemmo presto per rifinire il nostro folle piano. Il discorso che stavamo curando nel minimo dettaglio non era né troppo lungo, né troppo corto, era perfetto, l’unico problema era chi sarebbe stato a esporlo. Andrea non poteva rischiare dati i suoi precedenti e noi anche se pulite penalmente non ne avevamo il coraggio, l’unica era tirare a sorte. Soliti bigliettini con il nome e cestino e ad Andrea il duro compito di pescare; esce Pamela, la più coraggiosa di tutte, lei quando c’era da buttarsi in situazioni pericolose e imbarazzanti, metteva su la sua faccia di bronzo e ci si tuffava a pesce; infatti, la prese a ridere e ci disse che se lo sentiva che lo doveva fare lei.
Uscimmo tutti per trovare una cabina telefonica ancora attiva e non troppo in vista per passare inosservati. Pamela compose il numero e con un po’ d’ovatta e il tentativo di imitare una voce maschile, come aveva fatto spesso in altre situazioni per prenderci in giro, incominciò a parlare con la polizia.
La mattina dopo, per essere sicuri che il nostro piano fosse andato a buon fine, parlammo con i genitori di Lina che come sperato ci avvisarono della soffiata anonima.
Ora c’era solo da sperare che la polizia se ne informasse, intanto Andrea di suo era riuscito a sapere, dove abitava, solo che per vedere se era incensurato c’erano da aspettare i risultati dalla polizia e poi non era detto che ce li avrebbero forniti. Adesso nel bene e nel male eravamo tutti coinvolti e quindi decidemmo di fare una ricerca parallela alla polizia.
Trasformati in detective in pochi giorni, scoprimmo le abitudini del ragazzo, non trovammo niente di stravagante tranne che era un tipo solitario e sembrava non avesse amici. Nel fine settimana, decidemmo di fargli conoscere una di noi per tendergli una trappola; non fu facile perché era un tipo molto schivo che non dava molta confidenza, ma la nostra esca Pamela era molto caparbia e facendo sempre finta di incontrarlo per caso alla fine raggiunse l’obiettivo con noi dietro che per sicurezza eravamo sempre nei paraggi senza farci accorgere.
Uscì con lui un paio di sere e tutto andò tranquillamente fino alla terza sera in cui cercò in tutti i modi di portarsi a letto la nostra amica e lei fu davvero bravissima nel sottrarsi alle sue avance, senza farlo insospettire.
Il suo atteggiamento poteva significare che era un provocatore, e non per forza che fosse un rapitore e violentatore-omicida. Dovevamo avere la certezza che fosse lui il nostro obiettivo, ma non sapevamo in che modo potevamo scoprirlo.
L’unica cosa da fare era entrare nell’archivio on-line della polizia, Andrea doveva cercare di intrufolarsi senza farsi beccare.
Lui non ne era entusiasta perché rischiava parecchio e poi non avevamo la certezza che ci sarebbe riuscito.
Come prima cosa, per essere sicuro di non essere scoperto installò tutti i programmi che lo avrebbero reso invisibile una volta entrato nel database della polizia e un altro che lo avrebbe avvisato di un eventuale smascheramento.
Ora il difficile, era trovare la loro password ma dato che aveva un programma anche per quello, non fu così impegnativo.
Eravamo dentro il sito solo che non avevamo la minima idea di dove andare a cercare, provammo a digitare sul motore di ricerca il nome del ragazzo e ci apparve la schermata con tutti i suoi dati. Fu più facile del previsto.
NOME: Salvatore
COGNOME: Santini
DATA DI NASCITA: 23 marzo 1978
LUOGO DI NASCITA: Bologna
ATTUALE RESIDENZA: Via dei Miserabili, 8
C.A.P.: 00100 ROMA-ITALIA
COLORE OCCHI: Neri
COLORE CAPELLI: Marroni
ALTEZZA: 1,85
SEGNI PARTICOLARI: Nessuno
FEDINA PENALE:
(1999) piccolo furto di auto. *
(2003) possesso di droghe leggere. *
(2007) molestie. *
* per altre informazioni guardare i fascicoli.
Rimanemmo di sasso quando vedemmo l’accusa di molestie.
Cercammo di trovare i fascicoli, purtroppo erano solo cartacei e non potevamo fare più nulla.
D’un tratto prima di uscire dal sito apparve una scritta di allerta, stavamo per essere scoperti.
Andrea riuscì in pochi secondi a uscire ma non avevamo la certezza di averla passata liscia. Il panico ci attanagliò con la sua morsa letale facendoci apparire tutti come delle amebe. Lo stress accumulato era davvero insopportabile ed era quasi un miracolo non aver sfogato il tutto con una lite tra noi; il collante che forse ci teneva uniti senza esplodere era la certezza che ognuno di noi avrebbe fatto di tutto per riportare a casa Lina sana e salva.
Il tempo purtroppo non c’era per niente amico dato che ormai era quasi un mese che Lina era scomparsa, noi tutti continuavamo a seguire il ragazzo ma purtroppo ci parve ben presto solo una coincidenza che avesse questi precedenti e che avesse lavorato sul suo numero di telefono; non sapevamo cos’altro inventarci quando un giorno i genitori disperati ci chiamarono per dirci che era stato ritrovato un corpo e che la polizia presumeva fosse di Lina.
Disperati, ci riunimmo di nuovo per aspettare conferme dai genitori, che purtroppo dopo due ore ci diedero, e ci ritrovammo insieme piangendo con la consapevolezza di non poterla più riabbracciare.
Io non potevo dimenticare la nostra ultima corsa in motorino, e il rimpianto di non averle detto che le volevo bene, una parola che molto spesso davamo per scontata e tra noi spesso non ci dicevamo, forse per la paura di essere troppo sdolcinate ma che ora sentivo di non aver mai detto abbastanza.
La mia reazione istintiva fu di urlarlo, sembravo impazzita ma nel mio cuore sentivo come uno squarcio insanabile e mi ritrovai per terra in lacrime e in collera con me stessa allo stesso tempo per non essermi accertata che entrasse in casa.
Ci stringemmo tutti in un grande abbraccio e per un attimo il dolore che provavamo sembrava un po’ meno straziante e il tempo per qualche secondo si fermò come per guardarci e sono sicura che a quell’abbraccio si fosse unita anche Lina felice di sentirci così unite.
3-UN’AMICIZIA DA SALVARE.
Ore 9 . . . doveva essere un giorno come tanti, ma quella mattina mi stavo preparando per salutare per l’ultima volta la mia più cara amica e non avevo nessuna voglia di vestirmi.
Le mie mani lavoravano automaticamente per me e senza accorgermene nel giro di pochi minuti ero pronta.
Ore 10:30 . . . erano tutte lì di fronte alla chiesa e da quel momento per tutta la funzione ci abbracciammo e rimanemmo così fino al suo termine.
Quando fu il momento di dire due parole che la rendessero omaggio nel suo ultimo viaggio che avrebbe percorso senza di noi, ognuna scelse una poesia della sua autrice preferita, Emily Dickinson, e tra le lacrime leggemmo.
Ore 12 circa . . . per questa giornata di lavorare non se ne parlava, quindi decidemmo di passarla insieme.
Andammo a Villa Pamphili, ci sistemammo con un telo sotto uno dei tanti alberi che facevano da cornice al parco e come facevamo anche quando Lina era con noi, ci sdraiammo per ascoltare i rumori della natura e sentire l’odore delle piante.
Tra ricordi, singhiozzi di pianto, abbracci, il tempo ci prese con lui sotto braccio e ci fece arrivare alla fine della giornata, consapevoli che tutto quel dolore che stavamo provando e che ci avrebbe accompagnato per un lungo periodo, ci avrebbe cambiato inevitabilmente.
Dopo il funerale passarono tre mesi ed era da quel giorno che non vedevo le altre, avevo provato a chiamarle ma anche per telefono tutto sembrava così difficile, non riuscivamo più a parlare, sentirci faceva riaffiorare quel tormento che ognuna di noi aveva deciso di soffocare anche a scotto di non sentire più le amiche di sempre. Forse potevo accettare che ognuna di noi avesse il suo modo di reagire a un evento così triste, ma non che la morte di un’amica invece di unirci in un legame ancora più stretto ci stesse dividendo; così decisi di mandare un messaggio a tutte:
<
Non volevo arrendermi, perché ero sicura, sarebbe stata la volontà di Lina; quindi incominciai a chiamarle tutti i giorni, inviando messaggi anche stupidi ma era un modo per scuoterle, anche se sapevo che avrei dovuto escogitare qualcosa di geniale cui non avrebbero potuto rifiutare. L’idea mi venne quando mia madre un giorno mi disse che il fine settimana sarebbe partita per andare dai nostri parenti. Decisi di organizzare un fine settimana a casa mia a base di alcolici, per annebbiare per qualche giorno il dolore, patatine e pizza perché proprio senza cibo sarebbe stato dannoso. Mandai un messaggio collettivo con l’obbligo di presenza, sperando che accettassero tutte.
In quei minuti di attesa sembravo isterica, non riuscivo a stare ferma, per fortuna tutte accettarono, così potei cominciare i preparativi; avevo avuto uno strano modo di reagire a tutto quel dolore, tenermi occupata era diventata un’ossessione, non permisi a nessuna di aiutarmi dicendo che me la sarei cavata e che avremmo fatto i conti della spesa in seguito.
Riuscii a organizzare il tutto a tempo di record, e finalmente ci rincontrammo dopo tanto tempo. Le mie amiche dopo un’ora di piccoli silenzi e momenti di assurdi imbarazzi che non avrei mai pensato di dover provare, si scrollarono e come ai vecchi tempi incominciammo a ridere e scherzare.
Il fine settimana era passato molto bene e al disopra delle mie attese e ci facemmo tutte una promessa di non abbandonarci mai più.
Da quel giorno ogni mese abbiamo ripetuto un fine settimana in onore della nostra amica, ogni volta a turno in casa di ognuna; con il tempo sono riuscita nella missione impossibile di tenere unito il mio grande “tesoro”, cioè le mie amiche, forse anche più di prima.
4-VOGLIO ANCORA CREDERCI.
Quando tutto sembrava essere tornato alla normalità, come una doccia fredda mi arrivò un messaggio dal cellulare di Lina con scritto: << Cercatemi ancora, sono viva, ho paura!>> pensai a un ritardo d’invio di messaggi, improbabile, ma era l’unica cosa che poteva aver un senso.
Nel mio cuore però si aprì come uno spiraglio . . . “che davvero lei non fosse morta?” seppure abbiano trovato un corpo, la certezza fosse di Lina non potevamo averla poiché erano riusciti a identificarlo solo da un maglione che indossava; era talmente irriconoscibile che neanche l’autopsia aveva potuto appurare con certezza fosse lei.
Presa dal panico incominciai a sentire il cuore in gola, non volevo preoccupare subito le altre e soprattutto i genitori di Lina, quindi feci l’unica cosa logica, andai dalla polizia e gli spiegai quello che mi era successo, in un primo momento mi fecero una valanga di domande, pensando forse che fossi una pazza, ma dato lo stato in cui mi ero presentata al commissariato, era da aspettarselo, sembravo davvero appena fuggita da un manicomio. Alla fine riuscirono a calmarmi e a farmi spiegare la situazione con più tranquillità, mi dissero che non era possibile e di tenere questa cosa riservata finché non avessero trovato una spiegazione.
Cercai di fare finta di niente con le altre, io che non ero mai riuscita a nascondergli le cose importanti perché il mio sguardo senza volerlo era un libro aperto, nel bene o nel male ero trasparente nei miei pensieri. Nonostante tutto me la cavai, mentirgli e inventarmi che era solo un periodo no, fu più facile del previsto, anche se Sara sospettava che non stessi dichiarando tutta la verità non mi chiese altro e tutte accettarono la mia banale spiegazione.
Sapevo già che sarebbe stato arduo dover mantenere il segreto a lungo, ma la consapevolezza che svelandolo avrei creato solo dolore e false speranze avevano fatto si che per due settimane riuscissi nell’impresa. Finalmente la polizia mi fece avere notizie, la chiamata era realmente arrivata da Lina e avevano la certezza che fosse ancora viva; pregai la polizia di avere tatto nel comunicarlo alla famiglia senza illuderli troppo e cosi feci anch’io con le mie amiche.
Mandai un messaggio collettivo con un invito a casa mia per le nove, così che potei comunicare loro la notizia; in un primo momento rimasero sbalordite, ma subito dopo la contentezza mista a lacrime di gioia fece il suo lavoro, non stavamo più nella pelle.
“L’incubo però si stava ripresentando, come avremmo fatto ad aiutarla?” “Purtroppo stavolta dovevamo affidarci completamente alla polizia o potevamo escogitare un altro modo per trovarla?” Come il solito, una valanga di domande ci riempì la testa ma stavolta la situazione era persino peggiore di prima perché stavamo veramente navigando nella più profonda oscurità.
Pensai di nuovo ad Andrea e d’accordo con le altre gli chiesi di pubblicare una pagina sui più famosi social networks per vedere se qualcuno la riconosceva, data la quantità enorme di persone che ne visitavano i contenuti, ci pareva l’unica cosa sensata che potevamo fare, ma anche l’ultima possibilità che avevamo per riuscire a ritrovarla.
Passammo un’intera giornata nel creare il suo profilo rendendolo pubblico il più possibile e come sempre con l’aiuto di Andrea ne fu un lavoro perfetto, rimaneva solo che aspettare e siccome nessuna di noi aveva intensione di lasciare le altre da sole, casa mia divenne un accampamento per i giorni a seguire.
Tra partite a Uno, dvd, musica, cibo, un po’ di vino e il controllare perennemente il computer, le giornate passarono velocemente fino a che un giorno qualcuno rispose al nostro appello; era una ragazza che ci diceva di averla vista il giorno dopo la presunta scomparsa e che le pareva drogata, inoltre con lei c’era un ragazzo che la sorreggeva e aveva pensato fosse un suo amico.
Ci fece la descrizione di questo ragazzo e per nostro sconcerto mentre parlava, sembrava stesse descrivendo il nostro amico Andrea. Non era possibile! Lo chiamammo subito con la scusa che il computer aveva dei problemi e lo mettemmo con le spalle al muro dicendogli che sapevamo tutto e che non poteva più nascondersi sotto la falsa maschera d’amico; lui cominciò a dirci che non sapeva a cosa ci riferivamo, che era tutto un complotto, e lo avrebbe provato.
Tutte noi volevamo credergli perché solo l’idea che per tutto questo tempo era stato così bravo a mentirci ci veniva voglia di ucciderlo . . . “Sarebbe stato talmente facile farlo senza nessun rimorso!”
Andrea entrò in internet e incominciò a parlare con l’ipotetica ragazza che diceva di averlo riconosciuto; dopo varie domande le chiese se volevano incontrarsi, a quel punto lei si fece molto vaga e subito dopo con una scusa si scollegò.
A quel punto avevamo due certezze: una era che Andrea non centrava nulla, e l'altra che la persona con cui avevamo parlato o era il rapitore di Lina o aveva avuto a che fare con lui.
Andrea per fortuna non si arrabbiò più di tanto, o almeno per il momento lo nascondeva bene, infatti, si mise subito alla ricerca d’informazioni sulla persona che si era messa in contatto con noi. Alla fine ci arrendemmo al fatto che aveva fatto perdere ogni sua traccia e che dovevamo avvisare la polizia.
Quando andammo, si arrabbiarono molto del fatto che avevamo avuto quest’iniziativa senza la loro approvazione e tanto-meno il loro aiuto e ci dissero che forse avevamo mosso qualcosa ma con la nostra imprudenza rischiavamo di perdere il lavoro fatto.
La polizia postale iniziò a lavorare sul social network cercando notizie, ma purtroppo il lavoro fu più difficile del previsto; ci chiesero di tornare a casa e ci assicurarono che se ci fossero state novità ci avrebbero subito avvisato.
Andare avanti e indietro per la stanza, pregare, piangere, nell'attesa di una telefonata, come se il mondo si fosse fermato, tra mille domande irrisolte e rammarico.
A un tratto squillò il telefono, con il cuore in gola risposi, un agente ci avvisò che avevano rintracciato la ragazza e che proprio in quel momento una pattuglia la stava andando a prelevare; ci chiese inoltre di non andare per non creare confusione e situazioni spiacevoli.
Ne parlai con gli altri e tutti contravvenendo a quanto ci chiedevano, andammo davanti al commissariato per riuscire a vederla.
Cercammo di passare inosservati, a un tratto la vedemmo, era una ragazza molto alta, magra, con i capelli a spazzola, sembrava spaesata e i suoi occhi marroni e profondi sembravano guardare un punto all’infinito, e per un secondo che ci sembrò un’eternità, si voltò nella nostra direzione, un brivido ci percorse la schiena . . . “si è accorta di noi?”.
Quella macchina che prima era così grande ci sembrò come una galera; non so cosa ci trattenne dall'uscire, ma rimanemmo come incollati ai sedili con le facce che fissavano il vuoto. Alla fine decidemmo che la cosa più saggia era tornare a casa e aspettare notizie.
Ci eravamo arresi, non potevamo fare altro che attendere, la tensione che avevamo accumulato però stavolta come una vecchia mina che era rimasta sotterrata per molto tempo esplose; a cominciare da Andrea che ci rinfacciò di averlo accusato ingiustamente. Incominciammo a dirci di tutto tirando fuori anche vecchi discorsi, che non si sapeva il perché, ma ogni volta che si litigava, usciva quel “ma tu quella volta . . . ”; ma anche dopo una grande esplosione s’intraprendevano sempre i lavori di bonifica, e anche noi ci calmammo e iniziammo a scusarci in primis con Andrea e poi tra noi per sbagli presenti e passati.
5-IL TEMPO SCORRE . . .
Un giorno passò. Poi due . . . tre . . . quattro . . . Un’intera settimana dove nessuno ebbe notizie. . .
A un tratto ci avvisarono che quella ragazza era convolta nel rapimento di Lina ma lo era stata solo nella prima fase. Aveva manomesso il cellulare tanto da creare il famoso gioco di linee che tanto ci aveva fatto discutere, da perfetta degna rivale di Andrea in campo tecnologico.
Infatti, per quel lavoretto prese un bel po’ di denaro. Era una tossicodipendente e quei soldi erano tutti serviti per una dose.
Lei non aveva visto Lina di persona e non sapeva in che condizioni fosse e neanche se ne era mai interessata, giacché il suo fine ultimo erano quei dannati Euro e nulla più!
In pratica nessun elemento utile per trovarla, e intanto incominciavamo a riavere i soliti dubbi che continuavano a martellare nella testa e non riuscivamo a evitare di avere.
Giulia, che nonostante la situazione paradossale e snervante, non si era mai scomposta cercando sempre di mantenere un certo controllo, prese le redini della situazione, poiché noi eravamo ormai dei morti viventi, me compresa che pur tentando di essere razionale, mi ero totalmente e inevitabilmente eclissata.
Ci propose di fare un fine settimana in montagna, così per stemperare la situazione; lei possedeva una casa nei pressi del Terminillo, così ci convinse ad andare.
Siccome ci stavamo trovando bene, e le inquietudini sembravano stare passando, ci fermammo per un’intera settimana.
Ritornati alla vita reale, l’evidenza del fatto che nulla era cambiato, ci sorprese tutti come un uragano, e anche Pamela, che di solito non faceva quasi mai vedere i suoi stati d’animo, incominciò a dare di matto.
Spesso le fughe dalla vita reale, che siano piacevoli o meno, riuscivano solo a rimandare i problemi che inevitabilmente si ripresentavano strafottenti, procurandoti ancora più dolore; “allora cosa fare se in ogni caso non riuscivi a trovare una via di uscita?” Noi coraggiosamente o meno avevamo scelto di crearci la nostra campana di vetro, troppo dolore ci spingeva sempre a trovare vie di fuga.
“Quanto potevamo resistere in questa situazione?” La consapevolezza di non avere scelte che aspettare, la voglia di riabbracciarla, il rischio che avevamo corso di rendere vane le indagini della polizia, una serie di fattori che ci comprimevano la testa vorticando senza sosta, non ci facevano essere lucidi nella maniera sufficiente per cercare una soluzione.
“Che tipo di rimedio ci poteva essere?” In fondo trovarla, spettava alla polizia e noi già avevamo fatto il possibile, ma qualcosa ci stava sfuggendo, qualcosa che avevamo sotto gli occhi ma, la troppa sofferenza non riusciva a farci vedere.
Il tempo fluiva come sempre, le notizie dalla polizia tardavano ad arrivare ma, a bruciapelo ci dissero di aver trovato la macchina di Lina e che probabilmente era servita per il sequestro.
L’ennesima domanda mi frullava insistente nella testa, ormai era un continuo, il mio cervello partiva in quarta, come il solito, però raramente trovavo delle risposte convincenti, alla fine coinvolgevo sempre le altre con le mie paranoie e il risultato che ottenevo era solo di aumentare le mie e contagiare loro.
Questa volta pur non sapendo dove mi avrebbe portato, cercai di seguire la mia intuizione.
Con una scusa andai a casa dei genitori di Lina, gli chiesi se potevo restare un po’ nella sua camera perché avevo la necessità di sentirla più vicina, loro come immaginavo non fecero problemi, quando rimasi sola, cercai il suo diario segreto, in pochi sapevamo che ne possedeva uno, lei pensava fosse una cosa infantile, infatti, solo Sara ed io ne eravamo a conoscenza.
Lo trovai, era così facile prevedere dove lo avrebbe messo, la nostra Lina sempre così ingenua, ma questo era la sua peculiarità e a noi piaceva tanto così.
Lo incominciai a sfogliare con un leggero senso di colpa, perché anche se a volte lei ci aveva fatto leggere alcune pagine di quel diario, ora lo stavo facendo per intero e forse c’erano cose che lei non avrebbe mai voluto farci sapere. Fui colpita dalla precisione con cui lo curava, descriveva le cose con particolare minuzia, così che mi ritrovai immersa nel suo mondo, nei suoi ricordi che spesso erano anche i miei.
In una pagina c’era raccontata la giornata che avevamo passato a visitare musei e come sempre dopo ci siamo rifugiate in libreria a leggere i nostri futuri acquisti, che come il solito in quel momento non avevamo abbastanza soldi da farlo, ridere e scherzare, concederci un tè e continuare a parlare di libri e dei musei appena visitati.
Pagine piene di tutte noi, piene di quei momenti che vorrei poter avere di nuovo con lei e le altre.
Arrivai al giorno della sua scomparsa e come prevedevo, aveva scritto i suoi piani per la giornata, aiuto . . . aiuto . . . aiuto . . . Entrai nel panico più totale, aveva scritto quel nome che avevamo già sentito . . . “Stasera uscita con Salvatore!”
6-EVENTI E DECISIONI INASPETTATE.
Presi il diario, lo nascosi nella borsa, salutai frettolosamente i genitori di Lina e corsi con il motorino verso casa; chiamai le altre e Andrea, che ormai era parte integrante della folle combriccola, e quando fummo tutti, comunicai loro la notizia.
Non era possibile, lo avevamo pedinato, quasi sedotto, pensando si trattasse di una semplice coincidenza; “possibile che ci abbia preso in giro per bene e che già ci conoscesse, divertendosi alle nostre spalle?”
Dovevamo raccontare tutto alla polizia e fare affidamento su di loro, di sicuro questa volta ci saremmo presi un bel cazziatone, oltre a rischiare la galera.
Così ci recammo al commissariato. Ci dissero che eravamo nei guai, ma non era una novità, stavolta, però avremmo dovuto pagare una multa salata. Cinquemila euro erano la nostra altra scelta a un mese di carcere. Come il solito dividemmo, ma ci sembro comunque un salasso.
Cercammo in qualche modo di carpire informazioni, un poliziotto molto gentile che ci aveva preso a cuore e capiva cosa stessimo provando, ci disse che Salvatore era il figlio di un magnate della finanza e che quella volta che fu imputato di molestie, il padre riuscì a far cadere le accuse.
Per l’ennesima volta ci sembrava di vivere uno di quei film americani dove il colpevole non sarebbe mai stato condannato perché pieno di soldi, e con un padre influente, ma nella vita reale non poteva succedere, la giustizia doveva per forza fare il suo corso, almeno era quello che speravamo.
Nella solitudine della mia stanza ripresi a visionare il diario di Lina, parte delle nostre vite che ripercorrevo nelle sue parole. Mentre leggevo le lacrime, scorrevano a fiumi e non riuscivo a farne a meno, rivivere tutte le serate in discoteca e gli scambi di sorrisi complici mentre una di noi si appartava un po’, la volta in cui una di noi non si trovava e per poco a Sara non gli prendeva un infarto, la certezza che ormai nessuna di noi poteva fare a meno dell’altra.
Che ridere, quando ci faceva le imitazioni delle professoresse al liceo, quanto tempo era passato da quelle ragazze che da allora si sono scelte e non si sono più lasciate . . . un fiume di ricordi. . . felici, ma a volte anche tristi . . . Con questi pensieri, piano mi addormentai e per una notte riuscii a dormire serena, senza incubi che nel cuore della notte mi svegliavano e non mi lasciavano più dormire.
La mattina mi risvegliai con il diario di Lina tra le mani e un sorriso enorme stampato in faccia; avevo sognato tutte noi di nuovo unite, così la mia giornata iniziò piena di ottimismo e speranze.
La polizia non tardò molto a farci avere notizie, ci dissero che Salvatore era implicato nel sequestro di Lina ma non sapeva chi fosse il vero rapitore perché, tutte le volte che lo aveva sentito era stato solo per telefono e per pochi minuti; Salvatore era stato una specie di esca, aveva appuntamento con lei per farla pedinare dal vero mandante, e lo aveva fatto anche lui per soldi.
Di una cosa avevamo la piena certezza, questo Tizio aveva parecchi soldi da spendere, “ma perché inscenare tutta questa vicenda?”
La polizia ci disse che avevano pochi indizi e che avremmo dovuto avere pazienza, inoltre, in confidenza il poliziotto che ormai ci aveva preso sotto la sua ala protettrice, era il classico bravo ragazzo, avrà avuto sui trentacinque anni, alto, occhi cioccolato e capelli neri, il suo nome era Gianmarco, ci disse che avevano il dubbio che Salvatore, sapesse più di quanto non avesse detto, quindi stavano continuando a interrogarlo.
Ormai eravamo abituati alle attese prolungate, ci avevano reso più forti e consapevoli del valore del tempo che passa, perché alcuni momenti non li avremmo più riavuti e quindi dovevamo afferrarlo al volo e farlo nostro.
E siccome nessuno di noi aveva voglia di perdere momenti insieme stavolta eravamo rimasti a dormire tutti a casa mia, come i vecchi tempi; la mattina ci svegliammo con una sorpresa Roma innevata, come non succedeva da anni.
La guerra di palle di neve ebbe inizio, riuscimmo anche a fare un pupazzo gigante; tra risate, cioccolate calde e camino acceso, un’altra giornata passò.
Gianmarco non ci fece sapere niente per un periodo che ci sembrò interminabile, ma alla fine ci chiamò e ci disse che Salvatore ancora purtroppo non collaborava come si aspettavano, ma piano piano stava per crollare, quindi ci disse di stare tranquilli che appena avesse parlato ci avrebbe avvisato.
. . . Era giorno . . . e poi notte . . . e poi ancora giorno, alla fine ci avvisò che aveva confessato che l’avevano portata in Spagna, a Barcellona, però non sapevano il motivo per cui aveva scelto proprio quella città.
. . . Il panico . . . i dubbi . . . Ecco le uniche cose che in questo momento vorticavano nelle nostre menti.
Per cercare di schiarirci le idee ci affidammo al tempo, infatti, per un po’ non facemmo nulla. Ci serviva un momento di evasione, l’ennesimo, ma era l’unica via di scampo per schiarirci le idee e pensare a quello che dovevamo fare.
Decidemmo di far passare una settimana e poi riaggiornarci, spegnere l’interruttore da tutto e tutti, io mi concentrai sullo scrivere il mio romanzo, “che poi l’avrei mai finito?”
Sara, si cimentò nella cucina, Giulia continuò il suo corso on-line di découpage e tutte le altre, chi più chi meno si dilettarono in quello che sapeva fare meglio, persino Pamela che non aveva un vero e proprio passatempo si sforzò di trovarne uno.
7-PAZZIA, AMORE O SEMPLICE AMICIZIA?
Era il diciassette di febbraio e ci riunimmo tutti per dare una svolta alla questione, inaspettatamente come in coro dicemmo: <
Col computer in mano, cercammo qualche offerta dell’ultimo minuto per Barcellona, “cavolo com’era difficile!”, sembrava che tutto il mondo proprio in quei giorni avesse deciso di andare lì, stemmo fino a sera a cercare di prenotare, ma alla fine ci arrendemmo e decidemmo che il giorno dopo dovevamo fare tappa a un’agenzia di viaggi.
. . . Ore 9 . . . la città sembrava deserta . . . c’era uno strano odore, che non si capiva da dove venisse . . . ci trovammo in giro per le strade vuote a cercare un’agenzia aperta ma sembrava che avessero tutti deciso di non lavorare . . .
“Che cosa stava succedendo?” in televisione non era stata divulgata nessuna notizia particolare . . . tornammo a casa, e accendemmo subito sul telegiornale regionale, e una notizia di emergenza Lazio ci sorprese, diverse tubature centrali di gas erano esplose al disotto del terreno, fortunatamente senza danni alle persone ma si consigliava a tutti i negozi per almeno tre giorni di non aprire e alle persone di non utilizzare le stufe.
. . . il crollo . . . la confusione . . . “come potevamo sconfiggere il fato?”
“Dovevamo solo far passare questi giorni finché la situazione non si fosse tranquillizzata!”
Di nuovo tutti a casa mia, con le immancabili partite a Uno che facevano da cornice a tutta questa folle situazione.
. . . aspettare . . . aspettare . . .
Finalmente arrivò il giorno in cui potemmo acquistare quei “benedetti” biglietti; finalmente riuscimmo nell’impresa.
Valige pronte, il cuore che non la smetteva più di rimbombare nel petto, documenti preparati la sera prima sul tavolo per paura di dimenticarsene e mille pensieri che come sempre vorticavano nella mente.
“Il viaggio che stavamo per intraprendere poteva finalmente portarci a riabbracciare Lina?” “Lo speravamo!”
Giulia prima di partire s’imbottì di sonnifero per la sua paura sconvolgente degli aerei, mentre tutti noi ci mettemmo a leggere e a mandare e-mail per lavoro, per fortuna avevamo tutti un impiego che ci permetteva di lavorare da casa senza essere per forza fisicamente in ufficio.
Barcellona ci accolse con tutta la sua voglia di vivere e ci trovammo subito immersi nella verità di queste parole.
Purtroppo non avevamo la minima idea di come muoverci per trovarla, incominciammo a mettere delle sue foto sparse per la città.
Come prima cosa ci dividemmo, prendemmo una cartina di Barcellona e ci spartimmo le varie zone per essere sicuri che ogni centimetro di questa città fosse tappezzata di sue foto; come seconda cosa, concordammo un appuntamento a Plaça Catalunya davanti al Café Zürich, punto di ritrovo per migliaia di turisti e barcellonesi, per le dieci di sera così da ritrovarci tutti in un punto e non perderci.
Girare tutto il Barrí Gotic, nella speranza che qualcuno ci notasse e ci dicesse di averla vista, era un’esperienza magnifica che non stavamo vivendo per niente nel modo giusto data la circostanza.
A un tratto un ragazzo ci si avvicinò e ci disse di averla vista e di sapere dov’era, avvisammo gli altri, ma gli dicemmo di continuare ad affiggere le sue foto finché non eravamo certi che fosse lei.
Il ragazzo ci portò in una via che conoscevo bene grazie ai romanzi di Zafón, calle Montcada, era una via un po’ isolata rispetto alle altre e la descrizione dell’autore ne rendeva giustizia, ci fermammo di fronte ad un edificio con decorazioni che richiamavano molto le opere di Gaudí, entrammo all’interno e un enorme giardino ci accolse prima di alcune scale che portavano a una serie di stanze.
Finalmente citofonammo a una di queste abitazioni, ci aprirono . . . la terra cominciava a mancarci sotto i piedi . . . Una ragazza che assomigliava in modo incredibile a Lina era di fronte a noi e in un inglese perfetto ci chiese cosa volessimo.
Di nuovo al punto di partenza non potevamo fare altro che avvisare gli altri e continuare a tappezzare la città di foto.
La sera ci colse impreparati e ci affrettammo a raggiungere il nostro “punto di ritrovo”, di nuovo uniti, cercammo subito un posto, dove mangiare, e come il solito ci ritrovammo tutti d’accordo per il fast food all’angolo della piazza.
Nel frattempo, avendo trascurato un po’ il lavoro ci mettemmo a vedere se c’erano e-mail non risposte, ci trovammo così, senza rendercene conto immersi tra cibo e lavoro.
Nei giorni seguenti fummo impegnatissimi, tra lo affiggere le foto e il lavoro e non avemmo un minuto per fermarci, anche perché la data di rientro in Italia era vicina e non potevamo permetterci il lusso di sprecare neanche un singolo minuto.
Ed eccoci arrivati alla fine di quest’avventura barcellonese, senza essere riusciti a cavare un topo dal suo buco, così sconsolati affrontammo il nostro viaggio di ritorno.
8-RITORNARE A VIVERE.
Ritornare a casa e accorgersi che nulla era cambiato, immergersi nel lavoro per non pensare e aspettare, che tutto questo abbia finalmente una fine.
Tutti ci immergemmo nella routine delle cose, tra lavoro e il resto, per parecchi giorni non riuscimmo a vederci molto spesso, anche se il contatto telefonico era sempre presente.
Pamela ed io avevamo un progetto in comune per conto di due agenzie che lavoravano di tanto in tanto insieme, quindi per forza di cose ci sentivamo di frequente. Lei era una burlona che rendeva il lavoro, un vero divertimento quando lo condividevamo.
Sara era l’unica tra noi a non avere un lavoro stabile, in perenne sclero, perché diceva che alla fine non poteva mai permettersi spese extra.
Andrea riprese il suo lavoro come gestore di un sito web, per una nota ditta di trasporti.
Alla fine eravamo tutti impegnati nei propri doveri.
. . . “In fondo la vita doveva continuare, anche se il pensiero per Lina era presente” . . .
Questa volta avevamo davvero fatto l’impossibile, quindi per ora dovevamo solo attendere che i meccanismi che avevamo mosso, con l’aiuto anche della polizia, si attivassero.
A un certo punto . . .
. . . Sembrava come se avessi dormito per un secolo. . . il rumore di una sirena mi svegliò . . .
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Aprii gli occhi e vidi che ero su di un letto d’ospedale, con tutte le mie amiche, anche Lina era lì che mi stringeva la mano, e i miei genitori accanto a me che piangevano.
Ero rimasta in coma per tre mesi, avevo fatto un brutto incidente col motorino dopo averla accompagnata a casa.
Piano piano, ripresi in mano la mia vita, felice che tutto quello che avevo vissuto mentre ero in coma, era solo frutto della mia infinita immaginazione.
Dopo due giorni ritornai a casa, ancora non avevo avuto il coraggio di parlare con nessuna, nemmeno con miei genitori del mio “sogno”; non so perché ma avevo come la strana sensazione che raccontandolo, si sarebbe avverato.
Passò una settimana e finalmente trovai il coraggio di parlarne, prima con i miei e poi alle mie “compagne di viaggio”; incominciai così a raccontare come avevo vissuto quei tre mesi, e di tutto il film che mi si era creato nella testa.
I miei come immaginavo mi dissero che data la mia fervida immaginazione, c’era da aspettarselo che avrei fatto un simile “sogno”.
Le mie amiche rimasero di ghiaccio, e Lina che ne era la principale protagonista era scoppiata in lacrime.
Si dice che, quando si va in coma, dovresti vedere la luce, o al massimo lo sdoppiamento del corpo, ma io avevo vissuto la più sconvolgente delle avventure parallelamente nel mio inconscio.
FraB
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